Duri a morire
Adriano Galliani, ai microfoni di Sky, non aveva il solito sorriso burlone. Era felice, sì, ma anche aggressivo, ce l'aveva con la stampa, i cronisti, i commentatori, con tutti quelli che non hanno riflettuto prima di sancire la fine anticipata di questo ciclo milanista. Ieri notte il Milan non ha compiuto un'impresa storica, ha semplicemente battuto una squadra nettamente peggiore, su tutti i piani. "Non si arriva fin qui con i ragazzini.." ha continuato il Vice-presidente, come ha ragione. In tempi non sospetti, su queste pagine, scrissi che il Milan non doveva temere questo Manchester, squadra pericolosa, sì, ma che fino a due mesi fa arrancava e perdeva con il Copenhagen. La vittoria contro la Roma ha ribadito per l'ennesima volta che la famosa "sportività inglese" non esiste: non si infliggono parziali così pesanti ad un avversario in Europa, e soprattutto non si usa tale parziale come leva per giudicare inferiore un intero movimento calcistico. Gli inglesi l'hanno pagata cara. Sui tabloid stamattina si leggeva che Milan-Liverpool è una finale indegna. Indegno invece è colui che lo scrive, così ottuso da non capire che se le due squadre si trovano ancora lì, per la seconda volta il tre anni, un motivo dovrà pur esserci. Il Milan ha vinto sei Coppe, il Liverpool cinque, qui non contano le stelle dei campionati nazionali. Chiedere conferma alla Juventus. Ci sono squadre che sono nate per questa competizione, che, anche se acciaccate, in un modo o nell'altroci arrivano sempre in fondo. Ad Atene, palcoscenico caro al Diavolo, si reciterà uno splendido atto secondo, che sa un po di rivincita, ma non lo è per nessuno. I ragazzi di Ancelotti sono carichi, determinati, vedono il traguardo, non devono rischiare di essere accecati da sentimenti di rivalsa, devono soltanto partire dallo 0-0 e trasformarlo in qualcos'altro, in qualcosa che decideranno loro, perchè il Milan non è inferiore a nessuno, cosi come non lo è il calcio italiano. L'unica sorpresa, almeno per me, è stata vedere questi gloriosi campioni pluridecorati, lottare come diavoli, stringersi l'un l'altro, incoraggiarsi, collaborare, soffrire come ragazzini. Una straordinaria lezione d'umiltà per tutti i cosiddetti grandi campioni, per tutte le cosiddette grandi squadre.
Per concludere vorrei spendere due parole su Kaka, il più italiano dei brasiliani, che quest'anno sta dimostrando che Sheva non era una necessità ma un lusso di cui il Milan poteva fare a meno. Kaka è l'unico giocatore al mondo che dà l'impressione di poter risolvere la partita da solo. Adesso gli manca una sola partita da risolvere.